Ragioneremo sul valore del lavoro e del lavoro senza valore, partendo dall’art. 1 Costituzione: L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
Democrazia e lavoro si trovano insieme e non a caso, perché senza il lavoro vissuto con dignità non esiste neanche la democrazia
Il mancato riconoscimento del valore sociale del lavoro, che si traduce in lavoro senza valore, è la minaccia principale per la tenuta democratica della Repubblica Italiana.
Negli anni ‘60, ’70, ’80 e fors’anche ’90 del ‘900, il lavoro si coniugava con identità e progettualità di vita e inclusione nella comunità. Lo è ancora?
La mobilità sociale si è via via svuotata di opportunità, ma c’è di più: la frammentazione del mondo del lavoro permette l’approfondirsi di un solco netto tra i lavori che consentono ancora riconoscimento sociale e quelli, invece, sui quali la buona parte delle imprese ha scaricato la gran parte del rischio, sia in termini di compressione della retribuzione al livello o anche sotto la sussistenza, sia in termini di privazione di garanzie e di diritti.
Vi racconteremo, allora, la storia di Paola, 50 anni, commessa in un supermercato, licenziata dopo un tumore al seno e cure chemioterapiche e reintegrata grazie all’intervento dei giudici e, soprattutto, alla sua caparbietà e tenacia.
E poi la storia di Arianna, lavoratrice somministrata, che ci spiegherà cosa significa non potersi emancipare, neppure a 30 anni, non potendo dare alla banca la garanzia di un contratto stabile se vuole comprare casa.
E ancora la storia di Francesca, ricercatrice nel campo delle malattie geriatriche, che ha “festeggiato” le nozze d’argento con il precariato, insieme al suo compagno.